zoo de roma | By : heidiesse Category: Italian > Originals Views: 771 -:- Recommendations : 0 -:- Currently Reading : 0 |
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[8] "è rosso sangue sullo sfondo del mio mondo più stronzo."
accecante, il sole del mezzogiorno spaccava le iridi ed il passamontagna, in pruriginosa lana avvizzita, pizzicava la faccia a tamburo battente. due dita e mezza, rivestite dalla cenere, assennatamente riflesse sulla lente in vetro dello specchietto retrovisore, mi davano funestamente via libera all’assalto. con furore, il gomito lo fracassai contro la cristallina superficie, incastonata tra le assi, riducendola rovinosamente ad una cascata di scintille taglienti. scalpicci irrequieti alle mie spalle, che mi spinsero a violare spudoratamente la soglia, rendendomi ancor più temerario. accarezzai la barba ispida, dell’unico stronzo di guardia, con la mia lama pungente, minacciando morte. “semo a cavallo” dicevano gli occhi raggianti di sciotto. assieme a g, lungo la ripida rampa per il seminterrato, a scassinare botteghini in un buco di fogna che odorava di letame, gli intrusi esondarono fuori dalle tane come orde di topi impazziti, in un carosello di bailamme e follia. “rambo, butta ‘a fascetta” cantilenava l’eco martellante nella mia testa, mentre il cervello fatto mi veniva bruscamente frantumato contro uno spigolo aguzzo, facendomi schizzare il naso fuori dall’asse, in un inarrestabile bagno di sangue. l’ultimo, precario, briciolo di lucidità lo utilizzai per sfuggire all’incombente massacro. mostri e demoni, profondamente assopiti sotto strati e strati di stupefacenti, che si ridestavano repentinamente nella mia memoria, durante l’estenuante galoppata per la salvaguardia della vita. raggiunsi l’agognata meta, con occhi pisti e visuale periferica a puttane, più morto che vivo. ignorai un paio di squittii allarmati di lisa, sbarazzandomi frettolosamente dal soffocante ingombro del cappuccio, prima di finire mestamente collassato al suolo per asfissia, alchè, la scorsi portarsi istintivamente le tremolanti braccia dinanzi alla morbida bocca spalancata, più sbigottita che mai, non appena il volto mi fece precipitosamente capolino, da sotto il ripugnante panno sozzo. fulmineo, posizionai quest’ultimo di fronte al rigido specchio contuso, ripulendo l’angosciante fiume di sangue in piena, che sgorgava imperioso dall’appendice nasale visibilmente storta, accorgendomi solo allora di averlo arginato in bocca per un bel po’. con pollice ed indice, fermamente incastrati tra le fossette di cartilagine maciullata, assestai un energico strattone schioccante, raddrizzandolo alla bell’e meglio. “sto a tòcchi” strisciava mestamente g, dallo sciancato cornicione della finestra, al putrido sofà sbrindellato dal cane. l’artico ferro scarico di sciotto rimbalzò, abbacchiato, sulla salda tavolata sgombra, mentre il suo smilzo braccino scarnato mi trascinava, inspiegabilmente luttuoso, nel viottolo, ove, la spezzata carcassa sanguinolenta di mario, mi fissava, inanime, con un foro da proiettile selvaggiamente inciso sulla fronte, a solcargli, ripugnante, le grasse cervella morte. i ginocchi sbucciati dall’asfalto, piegati sotto il disarmante peso dello strazio. crollai inaspettatamente al suolo, tuffando gli umidi palmi impolverati nella lucida pozza purpurea, profondamente turbato. la magra cena rimasta, posta sopra al marciapiede di quartiere, rigettata da lisa, mentre le spigolose ossa di sciotto mi comprimevano convulsamente la spalla, rinfrancanti. “a uno a uno se n’annamo tutti” .
° ° °
la lugubre frase, che mi frullava turbinosamente nella testa, mentre inchiodavo rudemente la camionetta, lungo il melmoso sterrato, con le dita smodatamente incollate al volante. una minuscola cesoia arrugginita, per liberarmi, agevolmente, dal fetente ostacolo del reticolato di sicurezza. con la legnosa asta, del consumato cinquantotto, saldamente stretta in pugno, scavai un’approssimativa fossa tra i rifiuti. le liquefatte articolazioni del cadavere, tutte ingarbugliate a frattaglie, che non faticavano a farsi scorgere, attraverso il sottile velo scuro, dell’untuoso sacco in plastica, nel quale erano state assennatamente compresse. senza scrupolo, gettai il macabro carico nella tomba. voci e bisbigli indecifrabili, che accompagnavano il desolante rito funebre, clandestinamente svoltosi all’interno della discarica. “sono morto” recitava l’opprimente epitaffio, rozzamente tracciato sulla sabbia.
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