Incubo | By : PerseoeAndromeda Category: Italian > General Views: 1275 -:- Recommendations : 0 -:- Currently Reading : 0 |
Disclaimer: I do not own the series/book/movie that this fanfiction is written for, nor any of the characters from it, nor do I profit from it. The only exception to this, is if this is an original story. |
“Come hai osato, piccolo bastardo?! Tu sei solo mio, nessuno può permettersi di godere con ciò che è mio... e tu non puoi permetterti di concederti a nessun altro! Bravo, gemi, urla in preda al dolore, in modo che io capisca quanto è stata efficace la mia punizione! Ci penserai due volte prima di riprovare a fare una cosa simile! Addormentati in fretta... in modo che possa assoggettarti totalmente e dimostrarti chi è il padrone!”
“No... NOOOOOOOO!”
Un artiglio avvinghiava il suo cuore e stringeva, come se volesse farlo esplodere... il dolore più atroce che avesse mai provato.
“Shun... cucciolo... tesoro mio...” ripeteva velocemente Hyoga, confuso, incapace di rimanere lucido e decidere sul da farsi “che cos’hai? Parlami, ti prego!”
Shun boccheggiava; gli occhi, prima serrati per il dolore, si erano aperti, le pupille così grandi e dilatate da far scomparire le iridi di smeraldo, inglobate in quel nero terrore.
Adesso non urlava, non ci riusciva più... solo qualche gemito strozzato mentre rivoli di saliva colavano lungo il mento.
“Aiuto!” urlò Hyoga in preda al panico “Qualcuno venga ad aiutarmi!”
La porta si spalancò, lasciando entrare Ikki e Shiryu, in preda ad una palese inquietudine.
Il santo di Phoenix fu subito assalito dallo spettacolo atroce del fratellino che gemeva, dibattendosi disperatamente per riuscire a respirare... non ebbe occhi per nient’altro mentre si gettava su di lui.
Proprio in quel momento, Shun si sedette e si liberò, vomitando saliva con successivi colpi di tosse, mentre Ikki lo abbracciava.
Era finita... il respiro stava tornando, affannoso.
Shiryu, rimasto abbastanza saldo rispetto ai compagni, poté rendersi conto conto per primo che il peggio era passato. Con un fazzoletto pulì delicatamente il viso di Shun, asciugando saliva e sudore e intanto cercava di rassicurare gli altri:
“Va tutto bene ora... vero Shun?”
Il ragazzino, abbandonato contro il fratello, annuì. I suoi occhi erano ridotti a due fessure.
“Ma che cosa è successo Hyoga?” volle sapere Ikki, voltandosi verso il russo, sperduto e impaurito come Shun.
“Non lo so... noi stavamo...” si bloccò; la confusione del momento stava per tradirlo. Non era il caso di dire ad Ikki che si stavano baciando.
“Stavate cosa?” insisté Phoenix.
“Eravamo... qui a parlare, perché non avevamo sonno e lui ha improvvisamente avuto questa crisi...”
“Shun, cosa hai sentito esattamente?” Ponendo questa domanda, Shiryu accarezzava i capelli del ragazzino. Erano tutti molto protettivi con Shun... faceva un particolare effetto veder stare male colui che era considerato il cuore e l’angelo del gruppo.
Shun si rannicchiò tra le braccia di Ikki:
“Non parliamone più, vi prego... ora è tutto a posto... sono solo molto stanco...”
“Domani faccio venire il dottore…”
Nonostante il momento difficile, Shun non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un sorriso. Non avrebbe mai creduto, fino a un anno prima, che Ikki-Niisan sarebbe diventato così... la dura, cinica fenice si era trasformata in un papà fin troppo apprensivo con il fratellino.
A Shun non dispiaceva; il suo cuore si colmava di tenerezza quando Ikki si comportava assumeva simili atteggiamenti.
Forse avrebbe dovuto dire ai ragazzi che il medico non sarebbe servito a nulla ma non se la sentiva di spiegare cosa gli stava accadendo... come avrebbe potuto, dato che lui stesso non capiva?
Cosa stava succedendo? Era tutto frutto della sua immaginazione, una malattia della sua mente?
Era stanco, voleva chiudere gli occhi, dormire ma aveva paura di farlo. Si sentiva come un topolino in trappola.
Il medico non trovò nulla che non andasse in Shun e più nessun dolore tormentava il ragazzo.
Tuttavia, più che il mal di stomaco, gli diede da pensare il dolore al petto e insisté nel consigliare un ricovero ospedaliero. Shun non ne volle sapere anche perché, dentro di sé, sapeva che sarebbe stato inutile.
Il medico se ne andò, raccomandando i ragazzi di avvisarlo subito per qualsiasi problema.
Quello che era accaduto aveva sconcertato tutti. Hyoga non attese altro che poter rimanere da solo con Shun per chiarire un dubbio che lo tormentava:
“Ascolta... io ho pensato... ecco... il tuo malessere... non è possibile che fosse dovuto a nervosismo?”
Shun lo osservò attentamente:
“Nervosismo? Per che cosa?”
“Tu... sei così innocente e... stavi per baciarmi... stavi per baciare un altro ragazzo... temo... che tu possa esserti spaventato... non eri in forma e quello che stava accadendo tra noi ti ha...”
Lo interruppe la risatina di Shun che, rannicchiatosi sul divano, si abbracciò le ginocchia:
“Quanto sei buffo Hyoga! Mi credi davvero così vulnerabile? Innervosirmi per una cosa così… dopo tutto ciò che abbiamo affrontato nella vita?”
Sì... certo che lo vedeva vulnerabile... addirittura indifeso. Era consapevole di esagerare, perché Shun era in gamba, coraggioso e anche molto forte quando trovava la fiducia necessaria e una motivazione convincente per dimostrarlo... Ma era anche talmente emotivo e sensibile da risultare più esposto di chiunque altro alle avversità della vita.
“Quello che intendo Shun... insomma... non sei stato male a causa del bacio?”
Il ragazzino trasalì; in un certo senso era stato proprio quel bacio la causa di tutto anche se non nel modo in cui Hyoga credeva. Arrossì e posò il mento sulle ginocchia, socchiudendo appena le palpebre:
“Ma certo che no... come puoi pensarlo?”
Hyoga gli sollevò dolcemente il mento, per specchiarsi in due occhi enormi e lucidi. Un disarmante rossore infiammava le tenere guance. Il Cigno si chinò verso la bocca leggermente aperta:
“Allora... se non sei stato male per colpa mia, cosa ci impedisce di riprendere quello che avevamo iniziato?”
Le palpebre di Shun si chiusero un po’ di più, gli occhi e le labbra tremarono... anche lui lo desiderava...
Ma poi, il ricordo saettò nella sua mente e, con la forza dell’istinto, spinse via il compagno, alzandosi con frenesia per lasciare precipitosamente la stanza.
Hyoga si trovò a fissare l’uscio, sbalordito; nelle sue orecchie risuonava il calpestio vellutato dei piedi nudi di Shun che correvano su per le scale. Pochi istanti dopo, una porta sbatté al piano superiore: Shun si era chiuso in camera sua.
“Ho... tanto sonno...”
Shun sedeva sul letto, le ginocchia raccolte, il cuscino stretto tra le braccia. Le palpebre erano pesanti, tutto il suo organismo lo implorava di abbandonarsi al dolce invito di Morfeo.
“Ho paura... lui tornerà se dormo...”
La lampada sul comodino era l’unico lume acceso nella notte... tutti dormivano tranne lui... per poco... Il ticchettio dell’orologio era una ninnananna, gli occhi cullati dall’ipnotico suono... si chiusero...
Li spalancò di colpo:
“Non devo, non voglio dormire!”
Era seduto sulla nuda terra, solida e pietrosa. Una tenebra fredda, punteggiata da alberi scarni che spiccavano nel buio come ossa tese e agonizzanti, aveva cancellato, all’improvviso, le pareti della sua stanza. Scattò in piedi:
“No! Non mi sono addormentato! Non posso essere qui!”
“Troppo forte l’impulso del sonno per un misero corpicino mortale!”
Lui era già giunto e lo fissava con le orbite sanguigne. Nella bocca ghignante lucidi canini brillavano come stelle nella notte.
Shun non si accorse del movimento: una saetta zigzagante nell’aria che, un secondo dopo, fu accanto a lui. Dalle tenebre, di cui la creatura sembrava plasmata, si materializzarono due mani e si posarono sulle tempie del ragazzo. Egli cercò di sottrarsi all’ondata di puro terrore che quel tocco gli procurò; venne spinto contro un albero.
“Hai commesso un grave errore con quel biondino... e stavi per riprovarci... mi hai irritato profondamente... imparerai che è molto più salutare tenermi di buon umore.”
Shun tentò di spingerlo via; le sue mani, nel buio, incontrarono un corpo dalle fattezze umane, un petto ampio che non riuscì minimamente a spostare.
La rabbia lo assalì, respingendo momentaneamente in secondo piano la paura.
“Chi ti da il diritto di decidere ciò che non devo fare?!”
Una gutturale risata anticipò l’implacabile risposta:
“Il diritto me lo sono preso.. e da quando ti ho scelto, tu come identità non esisti più... sei ridotto a un oggetto di piacere, un gingillo nelle mie mani di cui posso bearmi a mio piacimento... finché non mi sarò stufato!”
Shun, in preda a un totale sconvolgimento, tentò di sgusciare via, sferrando calci e pugni; l’altro gli afferrò i polsi, li sollevò e li bloccò in alto con una sola, grandissima mano.. era tale la forza di quella mano che Shun si sentì sollevare da terra, toccava il suolo solo con la punta dei piedi. Continuava a lottare, senza tuttavia creare troppi problemi al suo carceriere.
“Vedo che nelle sembianze di un tenero micetto, si nasconde in realtà un tigrotto che ha bisogno di essere domato!”
Mentre una mano continuava a tenerlo sollevato per i polsi, l’altra gli abbassò violentemente i pantaloni corti del pigiama.
A quel gesto, Shun si irrigidì e, subito dopo, si agitò più energicamente; istintivamente provò a richiamare il proprio cosmo, senza alcun risultato.
“Non ci riuscirai” mormorò l’ombra umana con tono falsamente carezzevole “Non provare a invocare l’aiuto delle stelle qui... guarda il cielo... qui non esistono stelle, solo tenebra... non è il mondo luminoso che conosci e che ti è tanto caro... questo è il mio mondo!”
Era vero purtroppo; Shun imparò a proprie spese come le leggi che regolavano il mondo reale apparissero nulle in quella dimensione onirica.
La corteccia alle sue spalle prese vita, il legno intrappolò gli affusolati polsi di Shun e l’essere sconosciuto fu totalmente libero di agire: inizialmente furono baci sul collo e carezze sul torace, mani straniere lo toccavano con leggerezza, come le viscide carezze di rettili striscianti, i brividi lo fecero tremare.
“Ti insegnerò che non mi si prende in giro!” e il mostro baciò con più passione la pelle bianca del collo, Shun sentiva il viso in fiamme, per l’intensa vergogna, per la nausea che lo assaliva.
Era totalmente vulnerabile e indifeso il santo di Andromeda e, quando fu toccato con decisione e quasi con violenza tra le gambe, gemette per la disperazione, raccogliendosi su se stesso meglio che poteva, per rendere più difficoltoso possibile il lavoro che quella mano odiosa voleva compiere sul suo corpo.
Dalle labbra delicate gli sfuggì qualche insulto; l’umiliazione era troppo atroce perché accettasse di subirla in silenzio.
Lungi dal sentirsi a disagio per il linguaggio del solitamente raffinato Shun, l’aguzzino ridacchiò:
“Sei una piccola belva ribelle; devo proprio mostrarti chi è il padrone, una volta per tutte! Basta con preliminari e giochetti, con te sono necessarie maniere più forti di quanto avessi previsto!”
I polsi di Shun furono improvvisamente liberi, ma un istante dopo due braccia forti si avvinghiarono a lui, trascinandolo giù, obbligandolo a distendersi prono sulle pietre aguzze.
Una mano affondò tra i suoi capelli, premendogli il volto a terra, costringendolo a inghiottire polvere, a graffiarsi con ciottoli e sassi. Un corpo massiccio lo sommerse... era come trovarsi sepolto sotto una montagna, ogni movimento, ogni tentativo di fuga era annullato. Shun riuscì solo a gemere mentre dita brucianti come artigli lo frugavano nei recessi più intimi e segreti del suo corpo fanciullesco... dapprima solo un fastidioso dolore, un nauseante disgusto.... una mano tra i capelli lo costrinse a sollevare il volto da terra, l’essere lo trascinò verso di sé, fino a farlo sedere sulle sue gambe.
“Non voglio che il tuo bel volto venga deturpato così mio cucciolo…” disse, mordicchiandolo sul collo “se farai il bravo non ti farò tanto male, ma se mi resisti…” e con quelle parole, le sue dita entrarono con violenza fino a far urlare il ragazzo in sua completa balia.
Lacrime copiose sgorgarono, senza più argini, dagli occhi strettamente serrati di Shun; si dibatté ma la stretta della tenebrosa creatura era ben salda; le dita dentro di lui non abbandonarono la loro posizione.
L’essere lo fece voltare malamente e Shun si trovò immerso nella spaventosa tenebra senza volto; una mano scivolò sul suo corpo, infiltrandosi sotto la maglietta del pigiama, stuzzicando i capezzoli, prima con le mani, poi con i denti, mordendoli con una tale cattiveria da farlo gridare per il dolore.
Shun fu nuovamente trascinato a terra, quasi schiacciato dal peso di quel corpo massiccio; una mano si premette sul suo volto congestionato dalle lacrime e dal terrore, mentre un’altra mano si intrufolò nuovamente dentro l’intimo, strappandogli nuovi gemiti di disgusto.
Dopo pochi istanti si ritrovò completamente nudo e qualcosa di molto più orribile entrò in lui, facendolo urlare, tendere in ogni muscolo; il dolore era così lancinante che non riusciva più a respirare e il peso sotto il quale si trovava sommerso gli impediva ogni movimento.
Alla fine non riuscì neanche più a lottare, a cercare di sottrarsi alla violenza; solo singhiozzi e suppliche uscivano dalle labbra aride, mentre la nausea stava per sopraffarlo.
“Bravo” sbuffò il suo tormentatore, continuando a muoversi ritmicamente su di lui “Così ti voglio... un agnellino dimesso e remissivo!”
Shun perse ogni concezione temporale, lo scorrere dei minuti, dei secondi, si bloccò in quegli istanti di agonia, di umiliazione atroce... Durò comunque troppo a lungo... in quei pochi minuti, il ragazzo conobbe l’eternità.
Infine, con un ultimo sussulto coincidente con l’istante di più acuto dolore che lo fece gridare di nuovo, l’essere si sollevò, lasciandolo semisvenuto a terra; da ciascuno degli occhi socchiusi di Shun colavano fiumi di lacrime silenziose... era troppo sfinito, sconvolto persino per singhiozzare.
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